Da un terreno all’altro, custodendo la Parola

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

20 settembre 2025

Dal Vangelo secondo Luca - Lc 8,4-15 (Lezionario di Bose)

4In quel tempo, poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: 5«Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. 6Un'altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. 7Un'altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. 8Un'altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto». Detto questo, esclamò: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
9I suoi discepoli lo interrogavano sul significato della parabola. 10Ed egli disse: «A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo con parabole, affinché

vedendo non vedano
e ascoltando non comprendano.

11Il significato della parabola è questo: il seme è la parola di Dio. 12I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la Parola dal loro cuore, perché non avvenga che, credendo, siano salvati. 13Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, ricevono la Parola con gioia, ma non hanno radici; credono per un certo tempo, ma nel tempo della prova vengono meno. 14Quello caduto in mezzo ai rovi sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano soffocare da preoccupazioni, ricchezze e piaceri della vita e non giungono a maturazione. 15Quello sul terreno buono sono coloro che, dopo aver ascoltato la Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e producono frutto con perseveranza».


Abbiamo fatto talmente abitudine alle parabole – e a questa del seminatore con relativa spiegazione, in particolare – che ormai capita sovente anche a noi quello che accadeva agli “altri”, esterni alla cerchia dei discepoli di Gesù: “leggendo non vediamo cosa sta scritto, udendo non comprendiamo”. Sappiamo già tutto: chi sono i vari personaggi, il seminatore, il seme, i diversi terreni, la roccia, le spine, gli uccelli… 

Non potendo tuttavia fare come se ascoltassimo per la prima volta queste parole, soffermiamoci almeno su alcuni dettagli che forse ci possono offrire qualche spunto non troppo scontato e, soprattutto, possono magari spingerci a conversione.

Quando Gesù parla in parabole trae esempi dalla vita quotidiana, il più sovente dall’esperienza di pastori o agricoltori, vignaioli, a volte mercanti, proprietari terrieri o semplici casalinghe. Ma i primi discepoli erano soprattutto pescatori, gente di lago – un lago così incombente sulle loro vite da apparire un mare dalle acque profonde – e qui si dice che molti altri “uscivano dalle città”; nel gruppo delle donne, poi, Luca ci ha appena detto che c’era addirittura la moglie dell’amministratore di Erode e un’indemoniata sanata: tutte persone che avevano direttamente poco a che fare con greggi, sementi e sarmenti. 

Che ci sia allora nelle parabole un invito implicito a leggere le nostre vicende alla luce delle condizioni di vita dell’altro, a indossare i panni del diverso da noi, a conoscere e condividere “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono” (GS 1)?

Anche il riferimento alla roccia, immagine familiare di un terreno che non consente al seme di mettere radici, può disorientarci: come lo accostiamo al più famoso esempio di roccia, Pietro? Forse la radice di una fede salda sta nel pentimento; forse il seme cresce irrorato dal pianto per il proprio peccato; forse per imparare a servire gli altri dobbiamo lasciarci lavare i piedi.

Se poi ci identifichiamo con l’uno o l’altro terreno siamo tentati di pensare a una situazione immutabile: se sono terreno sassoso non diventerò mai zolla fertile, se nessuno mi libera da spine e rovi non potrò mai ricevere i raggi benefici del sole e il fresco della rugiada, se sono un sentiero battuto sarò sempre preso di mira da uccelli in cerca di cibo. 

Ma la spiegazione della parabola ci dice altro: noi non siamo un terreno, siamo “quelli su un terreno”. Sulla strada, sulla roccia, tra le spine, sulla terra buona… Allora la parabola è forse un avvertimento sui rischi dei diversi terreni e un invito a cambiare terreno, a convertirci, cioè a spostarci dalle situazioni che impediscono al seme della Parola di mettere radici e portare frutto.

Forse la parabola ci sta chiedendo solo – solo? – di custodire il seme della Parola in un cuore reso buono e integro dalla Parola stessa e di lasciare che cresca e porti frutto, per la vita nostra e del nostro prossimo, “dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”, in modo particolare nel terreno martoriato dove un tempo sono risuonate le parole di pace di Gesù.

fratel Guido