Solo gli umili accolgono l’Umile
24 settembre 2025
Dal Vangelo secondo Matteo - Mt 11,25-27 (Lezionario di Bose)
25In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. 26Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. 27Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
«In quel tempo Gesù disse: Ti rendo lode…». A leggere con attenzione il testo greco scopriamo che nella traduzione CEI è stata omessa una piccola parola apparentemente insignificante, che però a ben vedere insignificante non lo è affatto. Il testo originale dice: “In quel tempo Gesù, rispondendo, disse...”. Poiché prima non c’è alcuna domanda, il verbo “rispondendo” sembra fuori luogo, ed ecco che si è pensato bene di eliminarlo! Sappiamo però che non ci sono solo domande formulate a parole, ci sono anche quelle che emergono silenziosamente dalle situazioni di vita in cui veniamo a trovarci continuamente. E spesso sono proprio queste le domande a cui è più difficile dare una risposta adeguata. A quale situazione risponde dunque Gesù?
Dai versetti che precedono, vediamo che Gesù è di fronte a ciò che, in termini umani, si può tranquillamente definire un fallimento, il suo fallimento, quello della predicazione in cui ha speso tante energie. Quella predicazione con cui ha cercato, con tutti i mezzi umani disponibili, di annunciare ai membri del popolo d’Israele la sua particolarissima esperienza di Dio, il Padre, e quel suo amore gratuito che aveva totalmente colmato e trasformato la sua vita, e che – ne era convinto – poteva colmare e trasformare quella di tanti altri uomini e donne, potenzialmente tutti, se avessero avuto “occhi per vedere e orecchi per ascoltare”. Ed ecco che questi sforzi sembrano vani.
Gesù guarda in faccia il fallimento. Non lo nega né lo nasconde. I suoi “guai” elevati sulle città di Galilea che hanno sdegnato e rifiutato la sua predicazione sono un grido accorato, alla maniera dei profeti, un lamento sull’occasione perduta per quelle città. Erano libere di rifiutare e l’hanno fatto. Tutto ciò non lascia indifferente Gesù, ma lo fa soffrire intimamente, come di nuovo quando piangerà su Gerusalemme (cf. Lc 19,41). Egli però non si limita a elevare lamenti, ma, nella preghiera, benedice Dio per questa situazione, scorgendovi un segno, una modalità tipica dell’agire di Dio nella storia.
Gesù “riconosce”, “rende grazie”, “confessa” e “loda” il Padre: il verbo greco exomologhoumai ha tutti questi significati e nel testo greco dei Salmi è usato spesso quando l’orante ringrazia e loda perché riconosce l’amore di Dio in atto. Anche Gesù, come Maria nel Magnificat, loda il modo di agire di Dio, lo stile di Dio, il quale certamente ama tutti e a tutti vuole donare la salvezza, ma finisce per accogliere tra le sue braccia solo i “piccoli”, i semplici e i poveri, perché… sono gli unici che di fatto gli restano! Che non se ne vanno, che non si sottraggono sdegnosi al suo abbraccio di amore, a un tempo delicato e potente. I piccoli , in greco i népioi, ovvero letteralmente i “senza parole”, gli “infanti” – di cui oggi celebriamo un esempio luminoso nella figura di san Silvano dell’Athos, monaco vissuto per anni sulla santa Montagna nel silenzio e nell’umiltà, la cui esperienza spirituale è stata rivelata al mondo in tutta la sua grandezza e profondità solo dopo la sua morte, grazie al suo discepolo Sofronio – questi piccoli sono i soli capaci di accogliere la Parola del Signore, di “entrare nel regno dei cieli” (Mt 18,3; 19,14), di essere introdotti nell’intimità della conoscenza del Padre e del Figlio. Perché?
Perché solo gli umili possono accogliere un Dio umile, come Gesù lo ha rivelato con la sua parola e la sua persona. Per essere introdotti alla conoscenza della vulnerabilità più intima di Dio bisogna riconoscere innanzitutto la propria, come fece san Silvano custodendo per tutta la vita la parola che il Signore gli aveva rivelato: “Tieni il tuo Spirito agli inferi e non disperare!”. Sulla stessa linea Isacco il Siro scrive: “Sii vile e spregevole ai tuoi occhi, e vedrai la gloria di Dio dentro di te … Se sarai umile nel tuo cuore, egli ti mostrerà la sua gloria nel tuo cuore” (Discorsi ascetici I,5,50-51). L’umiltà è cioè la vera chiave di accesso all’intima conoscenza della gloria umile del Padre e del Figlio: resta però inafferrabile per tutti coloro che pretendono di restare “nel proprio”, senza lasciarsi spogliare dai propri orpelli e dalle proprie maschere.
Ecco perché, davanti a questo spettacolo dell’umile accoglienza dei piccoli, Gesù risponde con la lode e l’esultanza (esplicitamente sottolineata nel parallelo di Lc 10,21). E in questo modo insegna anche a noi il vero modo di guardare e rispondere alle situazioni della vita. È come se ci insinuasse una domanda: e se il vero punto di osservazione fosse quello che parte dal basso piuttosto che dall’alto, quello dei piccoli piuttosto che dei grandi? Non è che forse assai spesso sbagliamo il punto di vista, quando cediamo ai nostri facili pessimismi e ci limitiamo a dare sfogo alle cantilene dei nostri lamenti?
fratel Luigi