Segni di luce

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

6 agosto 2025

Trasfigurazione del Signore
Lc 9,28-36
di Sabino Chialà, priore di Bose

In quel tempo 28Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29Mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All'entrare nella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!». 36Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.


Cari fratelli e sorelle,
cari amici e ospiti,

mentre la notte scende, eccoci riuniti per rivivere, nella fede, il mistero della trasfigurazione del Signore Gesù Cristo. Mistero di luce e anticipazione della Pasqua. Luce che viene dall’alto e che illumina il volto del Figlio, facendo presagire ai tre discepoli da lui condotti sul monte, e a ciascuno di noi, la trasfigurazione promessa alla creazione intera.

Ne abbiamo bisogno… in questo momento in particolare. Noi infatti siamo qui e sentiamo parlare di luce e di trasfigurazione, ma intorno a noi non vediamo che sfiguramenti. Celebriamo la luce sfolgorata sul corpo del Signore, e intanto, in questo momento, in tante parti del mondo, sono altre le luci che fendono i cieli: luci che uccidono anziché illuminare.

Il contrasto è talmente forte che noi questa sera potremmo sembrare solo dei poveri illusi, degli estatici svampiti o, peggio ancora, dei pericolosi irresponsabili. Irresponsabili verso un mondo che brucia, verso le tante vittime innocenti uccise, affamate, tenute prigioniere, abbandonate a destini di morte… Vittime inermi, soprattutto bambini, che ci guardano con occhi increduli… Sì, increduli… perché stentano a credere che per qualcuno – per qualcuno di quegli “adulti” nei quali nutrono ancora una fiducia istintiva! - essi possono essere dei “nemici”; e per questo essere ridotti alla fame, essere usati come merce di scambio, essere impiegati come materiale bellico, o semplicemente essere lasciati morire in mare. Non possono neppure credere che per degli “adulti” la loro vita valga così poco: che la si possa sacrificare a una qualsiasi ragione; che la si possa ridurre a un banale prezzo da pagare in vista di un presunto bene ritenuto più grande.

Questo è il nostro mondo! È anche il nostro mondo! E consapevoli di tutto questo, noi siamo qui… e vogliamo metterci in ascolto ancora una volta la buona notizia della trasfigurazione del Signore. Ricevere un po’ di luce, per andare avanti, senza disperare... Lo facciamo per fedeltà. Lo facciamo per obbedienza… Lo facciamo con la speranza di trovare nella luce che promana dal volto del Figlio un po’ di chiarore per orientarci in questo mondo.

Alla luce di questo vangelo, in questa notte, accoglieremo anche il “sì” definitivo che una nostra sorella, Chiara, al termine del suo cammino di probazione, pronuncerà davanti al Signore, legandosi in alleanza con noi, fratelli e sorelle di Bose, alla sequela di Cristo, nella vita monastica.

La scena descritta dall’evangelista Lc nel brano che abbiamo appena riascoltato s’inserisce tra il primo e il secondo annuncio della passione di Gesù. Dunque, come una sorta di punto luminoso, in una storia che si annuncia complessa e dolorosa. Tale anche per i discepoli… Infatti Gesù, dopo aver parlato per la prima volta della sua passione, così si rivolge ai suoi: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà” (v. 23-14).

Il cammino è esigente per il Maestro come per i discepoli. Gesù però parla anche di “gloria” e promette: “Il Figlio dell’uomo verrà nella gloria sua e del Padre suo e degli angeli santi” (v. 26). E subito aggiunge: “Alcuni dei presenti non morranno prima di aver visto il regno di Dio” (v. 27). Su questa promessa s’innesta il nostro racconto: “Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo” (v. 28).

Si apre così una scena di pace, “altra” rispetto al prima e al dopo. Siamo sul monte, in disparte e il clima è di intimità… Non solo, ma Lc avvolge l’intera scena in un clima di preghiera. Dice che Gesù “salì sul monte a pregare; e mentre pregava” avviene qualcosa che rende “altro” anche il volto di Gesù. Il testo infatti continua dicendo: “L’aspetto del suo volto divenne altro (e[teron)” (v. 29).

Per Lc la trasformazione è dunque effetto della preghiera, o quanto meno avviene mentre Gesù è in preghiera. L’evangelista quindi indugia su questo tratto, dicendo che a un certo punto la preghiera si apre a un dialogo a più voci: “Ed ecco due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria” (v. 30-31). C’è il Padre, ma ci sono anche Mosè ed Elia, che entrano in quell’intimità.

E poi scava ancora in quella preghiera… e, a differenza degli altri evangelisti, specifica l’argomento di quel dialogo: “Parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (v. 31).

Quindi la scena continua come nelle altre narrazioni evangeliche, con la reazione maldestra di Pietro, che vorrebbe fissare quel momento: “Maestro è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne…” (v. 33). Con la nube che avvolge ogni cosa e mette fine a quella visione: “Venne una nube e li coprì con la sua ombra” (v. 34). Con la voce che viene dal cielo e indica in quel Figlio, l’eletto, da ascoltare: “Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!” (v. 35). Infine, con l’eco della voce celeste che sfuma nel silenzio dei discepoli. Letteralmente il nostro testo si conclude così: “E mentre la voce parlava, Gesù si trovò solo; ed essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto” (v. 36).

Questo è il racconto, che abbiamo ascoltato e commentato molte volte. Quest’anno, anche pensando a quanto stiamo vivendo come umanità e come comunità, vorrei soffermarmi su quel particolare proprio di Lc: “Parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme” (v. 31).

È chiaro di cosa si tratta: Gesù lo ha appena detto parlando della sua passione, e ora lo riprende, facendone oggetto della sua preghiera e del suo dialogo con Mosè ed Elia. Perché soffermarsi proprio su quell’esodo? E proprio ora, in una scena di pace come questa? Perché tornare a parlare di morte, proprio qui, in questo raro istante di luce? Le ragioni possono essere varie: Gesù lo fa per portare quell’esodo nella preghiera e confrontarlo con le Scritture; lo fa per trovare pace e per trovare senso; lo fa per non fuggire, e per accogliere… E così ci rivela il luogo in cui la luce può rifulgere, nel mondo come nel cuore di un essere umano, di ciascuno di noi!

Cosa c’è al cuore della luce di cui Gesù è circonfuso? Da dove gli vengono luce e pace? Gli vengono dallo scendere consapevolmente nel proprio esodo, dall’accogliere consapevolmente quella missione che lo porterà a bere l’amaro calice della croce. Gli vengono non dal rifugiarsi nella potenza della sua divinità, ma dall’accogliere la fragile consistenza della propria umanità. E lì, in quell’umanità fragile accolta e non fuggita, accolta e non mascherata, i discepoli contemplano la luce divina. La potenza del Regno si manifesta mentre Gesù dialoga con il “suo esodo”.

Non è dunque un caso se in questa scena il Maestro coinvolge i tre discepoli, Pietro, Giovanni e Giacomo. Li vuole lì perché vedano e odano! E questa sera, a vedere e ad ascoltare, invita anche noi… perché possiamo osservare il punto fontale della luce: da dove scaturisce la luce di cui tanto abbiamo bisogno nella nostra tenebra, personale o collettiva!

La luce, quella vera, nasce dal coraggio di vivere l’esodo, il proprio esodo! Nasce dall’onestà di chi non fugge la propria umanità, la propria finitudine. Gesù è uomo di pace e diventa luminoso mentre discorre del suo esodo, e discorrendone lo accoglie.

La tenebra invece, quella che avvilisce il nostro mondo, nasce dall’atteggiamento contrario. Nasce dalla non accettazione di quello che siamo… dai nostri deliri di onnipotenza, che sono agli antipodi dell’atteggiamento di Gesù!

Cos’altro c’è infatti alla radice di ogni violenza, guerra, sopraffazione, se non l’arroganza di chi mente sulla propria umana finitudine? Di chi non riconoscendosi “umano”, non è più capace di riconoscere l’umanità dell’altro? Dietro ognuna delle guerre e delle violenze che insanguinano il nostro mondo c’è sempre la medesima menzogna: quel narcisismo che si trasforma in delirio di onnipotenza da cui è generata ogni violenza, ogni guerra, ogni divisione. È sotto i nostri occhi: la violenza nasce da cuori di uomini che si credono immortali, che non fanno i conti con il proprio “esodo”. Un esodo per la vita: quella che Gesù dona, rifiutandosi di sottrarla agli altri.

Questa notte siamo allora qui ad accogliere questo messaggio, tendere l’orecchio a quel dialogo di Gesù sul suo “esodo”. E alla luce di questo esodo vogliamo anche accogliere come nostra sorella con sempre te, Chiara. Non ti sembri triste o angusta questa prospettiva: accogliere e lasciarti accogliere nella logica di un esodo! Perché si tratta di un esodo verso la vita, verso la resurrezione. Vita che passa per una spoliazione, per una semplificazione, per l’accettazione di una diminuzione. Non di una restrizione! Perché per questa via il cuore si dilata, come ricorda san Benedetto.

Non avere paura, Chiara, di riconoscerti creatura umana, e dunque fragile. Perché è lì che il Signore compie meraviglie. È lì che sgorga la luce, quella vera: laddove rimettiamo noi stessi nelle mani del Creatore, perché ci plasmi e ci riplasmi ogni giorno. Abbi però questo coraggio: affidati a lui! Vivi anche il rischio di affidarti alle sorelle e ai fratelli che insieme a te camminano dietro a lui. Dico il “rischio”, perché affidarsi comporta sempre un rischio. Perché la fiducia può essere tradita, e lo sappiamo bene. Eppure, non vi è altro modo per camminare liberamente nella via del nostro esodo.

Pensando a questo, mi viene in mente la conclusione di una lettera attribuita a santa Chiara, la Lettera a Ermentrude di Bruges (la critica la considera non proprio autentica, ma una rielaborazione di testi di Chiara). Dice alla fine: “Non avere paura o figlia: Dio, fedele in tutte le sue parole e santo in tutte le sue opere, effonderà su di te e sulle tue figlie la sua benedizione e sarà vostro aiuto e ottimo consolatore; egli è nostro redentore ed eterna ricompensa. Preghiamo Dio vicendevolmente, e così, portando il peso della carità (onus caritatis) l’una dell’altra, adempiremo facilmente (leviter) la legge di Cristo. Amen” (Lettera a Ermentrude di Bruges 15-17). Un onus che si porta leviter

Ecco la via dell’esodo: camminare senza paura, come Gesù ha fatto dirigendosi decisamente verso Gerusalemme (cf. Lc 9,51). Un viaggio in cui ti è chiesto di farti carico solo di una carità vicendevole, che rende leggero il comandamento, che poi è la legge di Cristo.

Anche il carico della nostra fragilità diventa leggero quando è portato insieme. Insieme alle sorelle e ai fratelli… e insieme al Signore! In una doppia comunione cui invita ancora santa Chiara al termine della Benedizione (questa volta un testo certamente di suo pugno), dove scrive così: “Siate sempre amanti delle vostre anime e di tutte le vostre sorelle, e siate sempre sollecite a osservare quanto avete promesso al Signore. Il Signore sia sempre con voi, e possiate voi essere sempre con lui. Amen” (Benedizione 14-16).

Santa Chiara esorta a un duplice amore: di se stessi e delle proprie sorelle! Mai l’uno senza l’altro: per diventare umani è necessario volersi bene e volere bene. Per accogliere e vivere il proprio esodo… è necessario volersi bene e volere bene. Per uscire dal narcisismo mortifero e dal delirio di onnipotenza che distrugge noi stessi e il mondo, è necessario volersi bene e volere bene. Per questa via sarà allora possibile riconoscere la propria umanità e dunque anche quella altrui. Riconoscersi esseri umani, per riconoscere gli esseri umani.

Chiara carissima, sono questi i sentimenti con i quali ti accogliamo e con i quali ricordiamo e rinnoviamo anche noi tutti, fratelli e sorelle, il nostro impegno. Nell’abbraccio che tra poco ti daremo, c’è anche quello di tutte le sorelle e i fratelli che dall’inizio della comunità fino ad oggi, in modi diversi, hanno edificato questa comunità, siano o no fisicamente qui questa sera. Accogli questo abbraccio con gratitudine.

La gratitudine che, a nome delle sorelle e dei fratelli, vorrei esprimere a chi ti ha accompagnata e aiutata a crescere: i tuoi genitori, il resto della tua famiglia, i tuoi insegnanti, le tue amiche e amici.

Gratitudine a nome di noi tutti vorrei anche esprimere ai tanti amici e amiche che si sono fatti presenti in questi giorni e che non hanno potuto essere con noi. Tra loro, tanti monaci e monache di monasteri italiani ed esteri, vari vescovi (compreso il patriarca ecumenico Bartholomeos). Un grazie particolare vorrei esprimere ai monaci presenti, i fratelli di Pra ‘d Mill, di Dumenza e di Arona, alla comunità delle Sorelle del Signore quasi al completo, all’arcivescovo di Palermo, Corrado, che fedele a una tradizione cui ormai non possiamo rinunciare, è tra noi e presiede la liturgia eucaristica. A voi tutti, che vorrei menzionare per nome… il nostro grazie per l’amicizia fedele e per la preghiera con cui ci accompagnate.

E che il Signore metta nei cuori dei potenti di questa terra, e anche nei nostri, pensieri di pace, perché torni presto la pace!